Read more" /> LE NEBBIE DI AVALON – LE FLUTTUAZIONI ONIRICHE DI MARIO SCALESE | ArtEventi Sicilia
ArtEventi Sicilia

LE NEBBIE DI AVALON – LE FLUTTUAZIONI ONIRICHE DI MARIO SCALESE

Sembra di sfogliare Le mille e una notte o i romanzi cavallereschi di Re Artù, quando si guardano i dipinti di MARIO SCALESE, perché ci si immerge subito in un mondo  surreale, in cui tutto è avvolto da un sottile e impalpabile biancore, che ora sembra polvere atmosferica (Polvere di luna, Notte di luna calante, L’alba di Avalon) ora sottile nebbia, che si mescola e si confonde col bianco della neve (Aria di neve, Cade la neve, Stromboli), facendo  raggiungere all’artista esiti da pittura astratta o quasi informale (Abstract, La strada di Sinharat, Fiori d’acciaio). Le alchimie dei suoi pensieri, i suoi paesaggi dell’anima, spesso nati dalle sue letture preferite, si avviluppano in una dimensione onirica, che dà vita a momenti di sospesione tra sogno e coscienza suscitando sottili emozioni interiori.

Tende all’alto Scalese, alle porte dei cieli, alla luna, alle stelle, in cui la sua sensibilità di artista si ritrova pienamente a contatto con la pacata armonia della realtà cosmologica, che lo eleva dalla terra, elevando a sua volta anche chi guarda.

Con occhi metafisici innesca sulle tele le fantasticherie del suo immaginario e trasforma la dimensione narrativa, trasferendola dall’esterno al mondo interiore, fino a raggiungere una visionarietà palpabile, una fascinazione visiva, che attrae l’occhio stimolandone la fantasia.

 

Frammenti di edifici, case sbilenche, fiori, ombrelli, sotto cui si intuisce appena la presenza umana, sospesi, intrecciano irreali girotondi nell’aria, fluttuano nello spazio, si incrociano tra le nebbie, si interpongono in volo tra vibrazioni e bagliori improvvisi di luce, creando particolari collages pittorici, ritagli di paesaggi e monumenti, che la memoria ha estrapolato dalla loro originaria unità e ricostruito in nuovi assemblaggi (Le case tra i mondi).

Le città non si distinguono: cupole, guglie, campanili si mescolano e volteggiano creando nuove realtà urbane, realtà della memoria, realtà dell’anima. Solo un profumo di favola emana da molti dipinti, un c’era una volta continuo, che ora rimanda al mondo arabo ora a certi ricordi nordici, in cui sembra apparire il fantasma di Chagall e in cui il biancore artico si intreccia con la solarità mediterranea, segnando le tappe di un incantevole viaggio tutto del suo vissuto, reale e sublimato.

Il bianco è simbolo di luce e di catarsi e gli serve a illuminare la notte e il buio con improvvisi flash di luna, che si impongono sulla tela con una diversificata varietà di sfumature, che procedono dalla corporeità alla levità, alla rarefazione. Per ottenere tale lieve trasparenza, per giungere a tale destrutturazione degli elementi del reale il colore si sfalda, si diafanizza, cerca tonalità smorzate, rasenta il monocromo nel contempo impreziosendosi. Ma talvolta, questi elementi fluttuanti, improvvisamente, s’infiammano come per un’inattesa esplosione di colore, cromie intense si scaricano sulle tele e gli arancioni, i blu, i rossi oscurano il resto con la loro forza luminosa. E’ la solarità mediterranea, in questi casi, che si autoproclama vincitrice sul pallore nordico, è la spettacolarizzazione cromatica, che vuole svelare altre tensioni di Scalese, scardinando ancora una volta il realismo, per dar vita soltanto a icone del proprio immaginario. Da un po’ di tempo in qua ha cominciato ad esercitarsi con l’encausto a freddo e ha dato una patina, lucida, vitrea alle sue immagini rinforzando l’idea della nebulosità e del fiabesco, che gli è tipica. E contemporaneamente i suoi paesaggi, che prima avevano una matrice letteraria o nascevano dal puro immaginario, si sono riempiti di edifici riconoscibili, spie dichiarate di luoghi, sono diventate immagini famose di città note, Roma, Parigi, paesi secenteschi dell’Olanda, Cefalù, perfino, con il suo duomo, un omaggio concreto alla Sicilia. E in mezzo ai monumenti sono comparsi gli uomini, parte integrante delle città, con una loro identità sociale definita, laddove prima o erano totalmente assenti nelle grandi piazze circolari, abbracciate da muraglie di case vuote, o comparivano come nere ombre solitarie a denunciare il peccato di solitudine dell’uomo contemporaneo. Anche i colori si sono modificati, scegliendo la direzione, già in parte percorsa, del chiarore esplodente, con una prevalenza di una pallida tonalità arancione, che a volte emerge dal grigiore nebbioso, a volte invade totalmente la tela, come nel caso de Il duomo di Cefalù: uno scoppio di vitalità mediterranea, che oggi sembra prevalere nell’esperienza dell’artista, che per ora manipola di preferenza una sua simbologia esistenziale, percorsa da un sottile filo di intimismo autobiografico. Scalese ha viaggiato molto e gli scatti della memoria gli hanno consentito di ripercorrere con il pennello sublimandole le avventure vissute, le tappe di viaggi che lo hanno portato per il mondo, soprattutto in luoghi emarginati, pochissimo frequentati dall’uomo, nei ghiacci polari, in deserti, in laghi salati, che hanno fatto vibrare il suo io, luoghi dove ha intravisto realtà pacificate, barlumi di una ritrovata armonia dell’uomo con la natura, dove sarebbe stato bello fermarsi.

Un percorso sperimentale quello della pittura di Scalese, una ricerca di pura forma e colore, che sfiora l’Astratto, come si è detto, ed anche l’Informale e perfino, talvolta, il Futurismo, pur se non con gli stessi esiti che raggiunge altrove: esemplari sono però questi suoi approdi della memoria e del sogno, in cui con predilezioni figurali e cromatiche particolari perviene a mete personali di buona qualità pittorica e immaginativa.

L’Arte aiuta talora a trasformare e a far diventare altra la realtà marcia in cui viviamo, a farcela dimenticare, ad estranearci. Ma è questo che dobbiamo chiederle?

Anna Maria Ruta

 
Comments

No comments yet.

Leave a Reply