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La Passione di Cannaò

Sarà visitabile fino al 12 aprile presso il Castello di Milazzo  la personale Passione,  di Michele Cannaò  a cura di Giuseppe Morgana, promossa dall’Associazione Culturale Siddharte e dall’Assessorato ai Beni Culturali e al Turismo di Milazzo.
La mostra, allestita nelle sale dell’ex Convento delle Benedettine, raccoglie 53 opere sul tema della crocifissione, topos artistico-letterario in grado di accendere l’immaginazione creativa di artisti di ogni epoca, indipendentemente dalle credenze religiose professate.
L’Associazione Siddharte ha inteso promuovere, con l’allestimento della personale, l’alto valore culturale ed emotivo racchiuso nelle opere di Michele Cannaò, espressioni di un’intensità pura e diretta capace di avvolgere lo spettatore nella tormentata lacerazione della volontà e della scelta, nell’oppressione profondamente umana che eleva l’animo.
Cannaò affronta il tema della crocifissione da artista coinvolto nella tragedia di un uomo eternamente crocifisso per le sue idee, per la coerenza e soprattutto per la passione, aspetto fondante del ciclo di rappresentazioni proposte e sentimento necessario per superare ogni timore e affrontare il proprio destino. Le immagini concepite rappresentano infatti una presa di consapevolezza dell’artista, che vede nell’immagine raffigurata quella di ogni povero cristo, la cui fine è già segnata nel legno e nei chiodi della croce.
La scintilla creativa che ha spinto l’autore a riflettere sulla crocifissione è stata determinata nel 2008 dal sodalizio artistico stretto con il poeta Guido Oldani, che in quello stesso periodo scrive il poemetto “Il chiodo fisso”; sollecitato dalla poesia, Cannaò inizia il suo lavoro pittorico intrecciando il percorso della crocifissione di Cristo con il calvario affrontato da Odisseo nel corso del viaggio di conoscenza intrapreso per tornare alla sua Itaca: due viaggi, due calvari che condurranno alla mostra “Passione e Incanto”. Quel primigenio nucleo di opere si è poi arricchito negli anni da tele che hanno potenziato l’indagine sull’argomento, arricchendola di spunti religiosi e sociali (si pensi infatti alle 14 opere relative alle originarie 14 stazioni della “Via crucis”, alle grandi opere “Morte di un messia viaggiatore” e “Tocca sempre a loro” e al trittico “Per sempre lì”, accompagnati da linoleografie, studi e disegni preparatori) in un percorso conoscitivo della passione umana quale luogo di lotte interne ed esterne che portano l’uomo a scegliere la propria strada, consapevoli dell’irrimediabilità della fine.

Conclusasi la tappa mamertina, la mostra si sposterà a Palazzo Duchi di Santo Stefano (Fondazione Mazzullo) di Taormina (ME) dal 18 aprile al 17 maggio e dal 6 giugno al 30 agosto nel Museo d’arte contemporanea del Castello di Montesegale (Pavia), insieme al lavoro degli ultimi anni raccolto in grandi cicli (Gli uccelli, La Taurophighia, Le lune, Odisseo, la Passione). Le incisioni di Cannaò saranno invece esposte presso il Centro Alzaia Naviglio Grande di Milano dal 31 marzo al 7 aprile.

NOTE D’AUTORE – MICHELE CANNAÒ

Direttore e ideatore del Museo del Fango dall’ottobre del 2009, Michele Cannaò è un artista che da sempre si misura non solo col fare arte – da quasi quarant’anni – ma anche con l’organizzazione dell’arte, con la creazione e la direzione di eventi d’arte e di cultura tra Messina e Milano, dove vive dal 1981. A partire dalla creazione della Compagnia teatrale La Credenza (1987), alle due edizioni di Infesta (Milano 1988 e 1989), per passare alle nottate d’arte allo Studio la Credenza (Milano, 1991-1995), al Festival “Fiumi d’inchiostro” (Milano, 1988), alle cinque edizioni di Kaló Neró, il festival di teatro, musica, arte, danza e editoria creato e diretto nella provincia di Messina (Scaletta Zanclea, San Placido Calonerò e Santa Teresa 1996/2000). Dal 2007 al 2013 ha fatto parte del Consiglio di Amministrazione del Museo della Permanente di Milano.

Estratti dal catalogo “Passione”, alcune chiavi di lettura di questo percorso, Marco Dentici (scenografo e regista cinematografico) per la chiave teatrale:

Un tema forte, la passione, attrae e spaventa. Contrassegna il percorso di una vita. Compendia gesti e comportamenti profondamente segnati dalla consapevolezza, dalla granitica fermezza, dall’ estremo sacrificio di chi ne è volontariamente protagonista. Sacrificio non meno estremo, spesso eroico e tragico anche per chi voglia abiurare tale ruolo e, al contrario, avverta la disperazione di non poter evitare tutto l’orrore di esserne vittima.
Quando l’amico pittore Michele Cannaò mi accennò della Passione, tema che avrebbe voluto affrontare non solo con la sua pittura, percepii dall’elica accesa della sua dialettica, l’intenzione di volermi risucchiare dentro il vortice di quell’argomento.

Andrea Filloramo (Filosofo e teologo) per la chiave teologica:

Se osserviamo bene le tele di Cannaò richiamano e rinnovano le emozioni del celeberrimo e angosciante “Urlo” di Munch, che grida sofferenza e terrore, in cui il volto è addirittura deformato e il corpo è talmente flessuoso, da essere quasi privo di colonna vertebrale. Tutta l’angoscia racchiusa in uno spirito tormentato vuole esplodere in un grido liberatorio. Come Munch, Cannaò, fa sì che il dolore sprigioni dalla figura dell’uomo della Passione ed in particolare dalla bocca, che man mano che si procede nelle “Stazioni” della sua via della croce si fa sempre più orribilmente dolorosa, “cadaverica” e – perché non dirlo? – “animalesca”. Non è quest’ultima un’affermazione irriverente, perché irriverente non è lo sguardo rivolto alla sofferenza del mondo. La manifestazione è terribile, sconcertante; chi “assiste” viene investito dall’onda d’urto di quell’immane esplosione di dolore che i dipinti rappresentano.

Angela Manganaro (giornalista) per la chiave letteraria:

Il Cristo di Cannaò è vicino al Cristo di Saramago molto più di quello che egli stesso voglia ammettere, almeno nel suo essere estraneo al suo padre terreno. Certo li distanzia il colore di fondo che come una colonna sonora avvolge i due percorsi: le terre in tutte le sue gradazioni fanno da sfondo al viaggio in Cirenaica del Nazareno di Saramago mentre il Cristo di Cannaò è immerso nel blu notte, nel grigio payne, nel ceruleo, nel cobalto, nel blu oltremare. Tutti i blu profondi della tavolozza mischiati tra loro fino a diventare una particolare gradazione di nero che – come sosteneva Savinio – serve a creare una zona nobile di reverenza e decoro in cui “chiudere le immagini della nostra religione”.

Antonio Moncada (musicista) per la chiave musicale:

…sul legno della croce il corpo a cristo
vien teso come corda di violino
perché la morte canti la sua vena.” (G. Oldani)
È la parte più atroce della Passione. Le pelli percosse dei tamburi, ora tramano, affliggono con suoni cupi, tellurici, vibrazioni; ora tacciono… il silenzio, l’eloquente espressione dell’inesprimibile!
E poi, in un vorticoso crescendo di dolore in dolore, di ritmi destrutturati, di eccessi in eccessi, si giunge all’estremo di un’agonia in cui la morte lacera gli ultimi vincoli con il corpo, così come i suoni taglienti e stridenti dei metallofoni che un archetto fa vibrare sino allo stridore lacerante.
È la “Passione” in cui, come traspare dai dipinti di Michele Cannaò, si dibattono la natura umana e il divino compresenti nella tribolazione di un Cristo oppresso dal pesante legno e, come ogni condannato a morte, dalla dolorosa tristezza dell’abbandono e della solitudine. […]
Guido Oldani (poeta) per la chiave poetica:
[…] Il corpo del Nazareno è un’officina meccanica, un cantiere edile dove la manodopera del male infligge l’esercizio della sempre prezzolata intelligenza. Siamo di fronte al ferro, arroventato nella fucina e battuto alla forgia, sull’incudine. C’è tutta una prepotente acustica dei martelli sui chiodi, di questi nel legno. Ci sono i tonfi delle cadute, le tenaglie e l’attaccamento schifoso al denaro che sempre, ma proprio sempre genera la violentatrice violenza. Così se ne va questo capro espiatorio rovesciato. Il Nazareno infatti è vittima consenziente e perciò stesso la responsabilità dell’accaduto ricade sui protagonisti che non possono più avvalersi della violenza in provetta dell’ignaro capro stesso.

Ingresso al Castello: € 5, ridotto € 3,50
Orari apertura: dal martedì alla domenica 8,30 – 13,30 | 15,30 – 19,00

 
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