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Malacrescita

“Malacrescita”  chiude il cartellone “Paradosso sull’autore” del Teatro Vittorio Emanuele di Messina.

Malacrescita“, definito in locandina “dialogo infantile in fusa e in versi per attore e musicista”, tratto dalla tragedia “La Madre: ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimma”, è l’ultimo spettacolo del cartellone “Paradosso sull’autore” (curato da Dario Tomasello), in scena nella Sala Laudamo dal 13 al 15 maggio. Ne è autore, regista e interprete Mimmo Borelli (in foto). In scena con lui Antonio Della Ragione, autore anche delle musiche suonate dal vivo. Le sculture nello spazio scenico sono di Peppino Novità.

Borrelli, dopo aver vinto il Premio Riccione nel 2005 ha saputo creare uno stile molto personale che approfondisce linguaggio e antropologia della sua zona geografica (Campania) fino a farne una specie di archetipo contemporaneo. “Malacrescita” è tratto da una sua tragedia che ha già avuto successo sul palcoscenico.

La storia è quella di Maria Sibilla Ascione: ignara e innocente bambina, nel nome già destinata ad una condizione di metà Vergine innocente, metà Maga, strega furente; poiché segnata nelle mani, dove in particolare nel palmo di quella sinistra, la mano del cuore, le linee di forza della vita, della morte e della prosperità, si uniscono a formare una M che la legittima (secondo le credenze pagano-contadine) ad avere un rapporto taumaturgico spirituale con i Morti e dunque praticare riti di guarigione da malocchio, fatture ecc…

Costei è figlia di un noto camorrista del casertano, le cui origini materne (i nonni contadini e fattucchiari, maghi) la riportano a Cuma, nei pressi di Torregaveta… lì dove secondo la leggenda e le testimonianze di Virgilio, risiedeva la famosa veggente. Il padre è un proprietario terriero dedito alla coltivazione del cosiddetto oro rosso (pomodori), senza disdegnare però (siamo nei primi anni Sessanta) il ben più redditizio smaltimento clandestino dei rifiuti tossici provenienti dalle industrie del nord, in cave abusive ricavate da alcune delle sue stesse tenute.

La bambina viene segnata dalle barbarie maschili fin dall’età di sette anni, quando il padre inizia a “pompare” i propri ortaggi con estrogeni che ne accelerano la crescita in pochi giorni. Ignaro però degli effetti collaterali che questi possono avere su di una creatura di pochi anni e nel pieno dello sviluppo: ovvero la piccola Maria Sibilla figlia di appena sette anni, la quale mangiando spesso tale frutto in miriadi di salse, ne acquisisce le stesse sintomatiche accelerazioni della crescita.

La bambina cresce diventando una bellissima, intelligente e arguta , avviandosi agli studi di medicina, e alla pratica del canto lirico al conservatorio, si rifugia in una vita inebriata dagli studi, per dimenticare l’inaccettabile: essere figlia di un despota dedito alla distruzione.

A questo punto arriva l’Anticristo, il Giasone risorto dai libri di scuola, tale Francesco Schiavone detto Sandokanne: intraprendente bulletto di periferia determinato e disposto a tutto, per favorire la sua ascesa al potere, tra le fila delle cosche camorristiche. Di costui Maria si innamora perdutamente e per lui compie ogni misfatto, prima contro la propria figlia e poi, addirittura, contro i figli, due gemelli, destinati a diventare deformi e completamente scemi.

Nel testo originale, è la madre sopravvissuta a raccontare ormai esule, barbona e sola le sue insane gesta ai propri gatti gli unici figli che le sono rimasti, di cui si circonda per farsi compagnia. “Qui invece – spiega Borrelli – capovolgiamo il punto di vista, immaginando che tutti i protagonisti di questa storia siano ormai defunti e gli unici sopravvissuti agonisti giullari, diseredati, miserabili, siano i due figli, i due scemi che dementi rivivono i fatti tra versi, ricordi, rievocando le pulsioni, gli umori, i suoni, le urla, i mormorii della loro aguzzina … vestendo ed espiando attraverso i suoi lerci ed ammuffiti abiti gli intenti e i moniti di colei che li ha lasciati al mondo, ma abbandonati, come dei rifiuti, messi da parte, in disparte, come le discariche ricolme di vegetazione innaffiata dal percolato, rinchiusi tra le pareti di un utero irrorato di solitudine, dove l’unico gioco rimane e consiste nel rimbalzarsi tra gli spasmi della loro degenerata fantasia, tra le folli trame insanguinate di questa tragedia, ‘u cuntu stesso… la placenta, l’origine della loro malacrescita“.

Sala Laudamo

13 e 14 maggio, ore 21.00

15 maggio, ore 17.30

Prezzi: posto unico 10 euro, ridotto 6 euro

 
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